Storia della parrocchia

Storia

Il 19 ottobre1203 frate Abramo, un laico datosi con un compagno alla vita spirituale e alle opere di carità, ottenne dal Vescovo di Bologna Gerardo Ariosti di poter fondare una chiesa nel suburbio di Bologna, fra il fiume Sàvena e la Fossa Cavallina, su terreno offerto dai fratelli Bonacausa e Opizzino Alamandini, con la condizione di pagare ogni anno al Vescovo il controvalore di una libbra di pepe in riconoscimento dell’autorità episcopale. Meno di un anno dopo, la chiesa doveva essere già a buon punto poiché nel testamento di certo Alberto Faxeolus del 15 aprile 1204 vi è un lascito di cinque soldi alla chiesa di S. Antonio.

Negli stessi anni venne costruito, ad opera di frate Abramo e di quelli che si erano raccolti intorno a lui, un ponte sul fiume Sàvena con annesso hospitale per alloggio di viandanti, che restò in funzione fin verso la fine del secolo XIII. Nel 1213 il Vescovo di Bologna donò al Capitolo della Cattedrale i diritti che gli spettavano sulla chiesa, ponte ed ospedale che frattanto, scomparso o partito frate Abramo, furono gestiti da una società laicale presieduta dal rettore della chiesa don Guido. A metà del Duecento, per graduale sostituzione dei membri della società laicale con ecclesiastici, si costituì una “collegiata”, cioè una comunità di chierici secolari formata da un priore e tre canonici. Allo stesso tempo risale la costituzione della cura d’anime, cioè della qualifica parrocchiale della chiesa. La collegiata di S. Antonio fu soppressa nel 1380 e unita al Capitolo della Cattedrale di Bologna; tale unione, però, divenne effettiva solo nel 1484, quando il Capitolo, in forza di una bolla di papa Sisto IV, poté prendere effettivo possesso della chiesa e nominarne il parroco col titolo di “vicario perpetuo”. Nel 1877 il Capitolo rinunziò i suoi diritti sulla chiesa di S. Antonio all’Arcivescovo di Bologna a cui, da quel momento, spettò la nomina del parroco. Nel 1915, in seguito alla grande espansione del tessuto urbano avvenuta ai primi del Novecento, la chiesa di S. Antonio fu dichiarata parrocchia urbana e come tale celebrò la sua prima decennale eucaristica nel 1924. Dal 1963 al 1995 la parrocchia è stata affidata ai religiosi Agostiniani; ora è nuovamente affidata al clero diocesano.

Architettura

La più antica chiesa di S. Antonio, costruita all’inizio del Duecento in forme romaniche, aveva le stesse dimensioni della navata attuale, con muri esterni adornati di lesene che vennero mantenute e raccordate con archi a pieno centro, come tuttora si vede all’esterno, quando l’edificio fu parzialmente ricostruito, aumentandone l’altezza, fra il 1422 e il 1455. Pure a metà del Quattrocento risalgono il portico della facciata, a tre archi sostenuti da pilastri ottagonali, e il bel campanile in forme tardogotiche. Pure di stile gotico era l’abside poligonale che nel 1753 venne sostituita dall’attuale cappella maggiore (qualche avanzo dell’antica costruzione è visibile all’esterno di questa, sulla parete nord). Nella seconda metà del Cinquecento vennero aperte le quattro cappelle laterali e il 4 marzo 1584, a conclusione dei restauri, mons. Angelo Peruzzi, vescovo di Cesarea e coadiutore del card. Gabriele Paleotti arcivescovo di Bologna, consacrò il nuovo altare maggiore.

Sotto il portico della facciata, a destra, il portale tardo quattrocentesco con la scritta CAPITULI BONONIENSIS, che ricorda il dominio del Capitolo della Cattedrale, è fiancheggiato dai resti di un più antico accesso del secolo XIII. Una lapide, posta nel 1988 a cura dell’Università di Bologna, ricorda che qui nel 1257 il bolognese Zoen Tencarari, vescovo di Avignone, fece il suo testamento col quale istituì il primo collegio per studenti ultramontani nell’Università bolognese. All’interno la chiesa si presenta con un’unica navata rettangolare su cui si aprono quattro cappelle laterali; le altre due più piccole, vicino alla porta, furono ricavate nel 1918-1919. La copertura a due campate di volta a crociera risale probabilmente alla seconda metà del Quattrocento, mentre l’aspetto complessivo dell’ambiente, compresa la cappella maggiore del 1753, risale alle sistemazioni e alle decorazioni dei secoli XVIII e XIX. Il pavimento in marmo è del 1964.

Arte e Spiritualità

Entrando, a destra, dopo la piccola cappella dedicata a S. Antonio di Padova, aperta nel 1918-1919, si trova la cappella della Beata Vergine degli Infermi, “Salus infirmorum” come si legge sull’ancona. Si venera qui una piccola immagine della Madonna col Bambino, in gesso policromato, che dal 1671 al 1817 stette dapprima su un albero, poi in un oratorio di fronte all’ osteria della Cesoia (dove ora c’è l’ospedale pediatrico “Gozzadini”). L’immagine è inserita in un bel frontale di legno intagliato e dorato fatto nel 1855; sull’alto dell’ancona sono dipinti l’albero su cui fu collocata l’immagine e l’oratorio in cui essa stette fino alla traslazione nella chiesa parrocchiale. La festa della Beata Vergine degli Infermi si celebra tuttora alla fine di settembre, ad anni alterni con quella della Beata Vergine del Rosario. Oltrepassata la porta laterale, detta “degli uomini” perché destinata un tempo ad ingresso riservato agli uomini mentre le donne entravano dalla porta principale, vi è la cappella del SS. Crocifisso, venerato in un’immagine a grandezza quasi naturale, in cartapesta e stucco, opera di ottima mano del secolo XVII; il crocifisso fu portato più volte in processione, fra cui nel 1756 in occasione di siccità, in circostanze di missioni popolari, funzioni penitenziali e calamità pubbliche. Sotto al Crocifisso, in una nicchia, si conserva una statua in terracotta policroma raffigurante il Cristo deposto, opera di Angelo Piò (1690-1769), il migliore fra gli scultori bolognesi del Settecento. La Cappella Maggiore, costruita nel 1753, presenta nella volta decorazioni a chiaroscuro e due angeli con le insegne del santo patrono (S. Antonio Abate), opera della seconda metà dell’Ottocento, più volte restaurate. Nel 1954 Giannino Lambertini dipinse i quattro evangelisti agli angoli della volta e la gloria di S. Antonio Abate sulla parete destra, figure restaurate nel 1994 dal prof. Mario Pesarini. Ma ciò che fa della cappella un complesso artistico e decorativo di grande pregio ed omogeneità stilistica, è l’insieme dell’ancona e dell’altare. Sul muro di fondo spicca la grande tela di Prospero Fontana (1512-1597) raffigurante la Madonna col Bambino in trono, S. Giovanni Battista fanciullo e i santi Antonio Abate e Pietro; le qualità di franchezza di disegno e di vivacità cromatica del dipinto sono esaltate dalla ricca cornice di legno intagliato e dorato, vero capolavoro di arte barocca eseguito nel 1691. A questa monumentale cornice fa riscontro l’altare col soprastante tronetto e con gli usciali del coro, il tutto in legno intagliato e dorato, recentemente restaurato (1997). Si tratta di un altare veramente “d’autore” poiché fu eseguito nel 1780 su disegno di uno dei migliori architetti del tardo barocco bolognese, Angelo Venturoli (1749-1821). Completa l’apparato decorativo della cappella una graziosa balaustra in ferro battuto e ottoni con simboli eucaristici, fatta nel 1795.Sull’altro lato della chiesa, dove sono internati nel muro due bei confessionali in noce del secolo XVII, si trova dapprima la cappella della B.V. del Rosario, venerata in una statua in stucco policromato del secolo XVII, posta in una nicchia contornata dalle raffigurazioni dei Misteri del Rosario di scuola bolognese del secolo XVII, secondo un’usanza molto diffusa nelle chiese bolognesi. Oltrepassata la cappella, una porta immette in una cappella interna di più ampie proporzioni dedicata alla Madonna di Lourdes, ricavata nel 1940. Ritornando in chiesa si vede, al di sopra della porta, un grande arco romanico con ghiera in cotto, architrave di selenite e lunetta in mattoni a spina di pesce, appartenente al secolo XIII e che costituiva l’ingresso laterale della primitiva chiesa. La cappella successiva è dedicata a San Vito Martire, la cui devozione ebbe inizio nella parrocchia nel 1662 quando alla chiesa fu donata una reliquia del Santo. La tela raffigurante San Vito in preghiera fu eseguita dal pittore bolognese Lorenzo Bergonzoni (1645-1722) e modificata nel 1857 da Francesco Bonola. Infine è la piccola cappella del Battistero, costruita nel 1918-1919. Sopra la porta principale della chiesa è la cantoria con un pregevole organo costruito nel 1852 da Alessio Veratti. Nel complesso la chiesa di S. Antonio, come tutte le chiese in cui ininterrottamente da secoli si svolge la vita religiosa di una comunità di credenti, presenta una grande quantità e varietà di testimonianze, certamente di diverso valore sotto il profilo artistico, ma tutte ugualmente interessanti come segni di civiltà e di pietà e che concorrono a fare della sede della comunità parrocchiale un luogo in cui la Fede parla col linguaggio della cultura e della storia. Quelle esperienze creative, quel lavoro artistico e artigianale ad alto livello attestano la Fede, la storia e la cultura del popolo cristiano e sono perciò, per il credente, altrettanti capitoli di quella “storia della salvezza” che continua nei nostri tempi e in noi.

Mario Fanti